1. 2017: si consolida la ripresa

Anche per l’economia toscana con il 2017 sono quattro gli anni (e quindici i trimestri, se consideriamo anche i primi tre mesi del 2018) di crescita ininterrotta; il ritmo di espansione con cui ciò è avvenuto non è però particolarmente vivace tanto che, a dieci anni di distanza dall’inizio della Grande Recessione, il livello del PIL procapite è ancora inferiore a quello di allora.

Osservando le diverse fasi di questo intero periodo è facile verificare come in Toscana l’evoluzione ciclica sia avvenuta con minori oscillazioni rispetto al trend di fondo di quanto sia accaduto in altre regioni; questo sia nella fase recessiva (con una caduta del PIL quindi più contenuta) che in quella espansiva (con una crescita quindi anch’essa più contenuta). Mettendo assieme i risultati conseguiti, l’esito finale è stato che la Toscana, con Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, rappresenta l’area che ha mostrato migliori capacità di tenuta, confermando una caratteristica oramai strutturale che vede in molti dei sistemi locali presenti in queste aree la parte più dinamica dell’intera economia nazionale.

  1. … anche se troppo lenta

Ciò, però, è solo parzialmente soddisfacente sia perché i costi generati dalla crisi -in termini di disoccupazione, disuguaglianze, povertà, investimenti- sono stati particolarmente gravi, sia perché anche il sentiero di crescita potenziale (che per il prossimo futuro è previsto attorno all’1%) risulta essere troppo debole, specie se ad esso si attribuisce anche il compito di coprire i problemi generati dalla crisi. Il fatto che la crescita potenziale resti superiore a quella nazionale, se da un lato può confortare, essendo la conferma di una struttura economica della regione più solida di quella del resto del paese, dall’altro rappresenta un problema in più, dal momento che difficilmente si potrà contare sulla spinta propulsiva proveniente dalla domanda nazionale, cui si legano in parte anche le sorti dell’economia toscana.

  1. Nel 2017 si conferma positivo il contributo della domanda interna

Ritornando alla congiuntura, il 2017 si è chiuso con una crescita del PIL dell’1,2% determinato da una buona ripresa della domanda interna per consumi e, soprattutto, per investimenti. Questi ultimi, dopo un lungo periodo di flessione, sono tornati ad aumentare nonostante un tasso di utilizzo della capacità produttiva ancora sotto il livello “normale” e tale quindi da attenuare la spinta all’introduzione di nuovi impianti. La domanda estera -sia per esportazioni che per turismo- ha continuato ad aumentare, anche se permangono le difficoltà di alcune imprese/settori determinate da particolari circostanze esterne cui tali imprese sono legate (il prezzo del petrolio e la conseguente caduta nella domanda di beni strumentali per la sua estrazione-lavorazione) e la cui persistenza è tuttora incerta. La minore crescita delle esportazioni osservata negli ultimi due anni, dopo un lungo periodo di forte espansione, è dovuta largamente a questi fattori; si confermano invece i successi di alcuni settori più e meno tradizionali (tra i primi, ad esempio, la pelletteria tra i secondi la farmaceutica). Il turismo continua nel suo trend di crescita coinvolgendo in modo particolare le città d’arte, rispetto alle quali la Toscana conserva una forte capacità di attrazione, specie nei confronti dei turisti stranieri.

  1. Tornano ad aumentare le importazioni

Allo stesso tempo sono però aumentate anche le importazioni, invertendo la tendenza degli ultimi anni quando, nell’intero paese, il miglioramento del saldo commerciale era stato in parte determinato anche dalla contrazione degli acquisti dall’estero causata dalla flessione dei consumi interni e soprattutto dal crollo degli investimenti. La ripresa della domanda interna sui due fronti, se da un lato ha rappresentato un segnale positivo di inversione delle tendenze passate, dall’altro ha comportato maggiori importazioni e quindi un peggioramento dei conti con l’estero: ciò è avvenuto anche in Toscana tanto che il contributo alla crescita fornito dagli scambi commerciali con l’estero, pur restando positivo, si è in parte affievolito.

  1. Continua a migliorare il mercato del lavoro

Il mercato del lavoro è sicuramente migliorato in questi ultimi anni, e particolarmente negli ultimi mesi, rispetto al picco negativo osservato negli anni della crisi. Il miglioramento in atto è testimoniato da tutti i principali indicatori: rispetto al 2016 crescono gli addetti (+2,6%), aumentano gli avviamenti (+14,3%), flettono le iscrizioni ai centri per l’impiego per manifestare la disponibilità alla ricerca di un lavoro (-9,3%), diminuiscono le ore di CIG (-31,3%), sale il numero degli occupati (+16.537 mila) e contestualmente scende quello dei disoccupati (15.678).

Tuttavia, pur essendo la situazione in via di positiva evoluzione, il quadro complessivo non è ancora roseo. L’accelerazione degli avviamenti e trasformazioni è da attribuire interamente al lavoro a termine la cui esplosione ha origini di varia natura: dal positivo andamento del turismo, che utilizza questa forma contrattuale in modo prevalente, alla forte correlazione esistente fra il ciclo economico ed alcune tipologie contrattuali flessibili (come il lavoro somministrato). A questo si deve inoltre aggiungere l’esplosione dei contratti di lavoro intermittente (i cd contratti a chiamata) che sono stata la risposta aziendale (in particolare nel commercio e nel turismo) alla sospensione dei voucher. In questo contesto, il lavoro a tempo indeterminato, dopo un inizio in leggera crescita, sperimenta una flessione nella seconda parte del 2017, con una variazione complessiva su base annua pari al -0,3%.

 

    6.  …ma permangono ampie aree di insoddisfazione

Nonostante gli evidenti miglioramenti persiste nel mercato un eccesso di offerta di lavoro la cui consistenza è superiore a quella ricavabile impiegando le tradizionali categorie di disoccupato (secondo ISTAT coloro che hanno effettuato almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro nelle quattro settimane precedenti l’intervista). Secondo tali categorie il numero di disoccupati toscani, pur in diminuzione, sarebbe ancora pari a circa 148 mila unità; se a questi, però, aggiungiamo coloro che, non avendo lavoro, si dichiarano disponibili all’impiego, anche se non lo cercano (54 mila individui) o lo cercano ma non in modo attivo (64 mila unità) raggiungiamo il numero di 266 mila persone (90 mila toscani in più di quelli che osservavamo nel 2008). Non solo, ma circa il 12% dell’occupazione (190 mila toscani) è attualmente impiegata a tempo parziale in modo involontario. Lavora cioè un numero di ore inferiore a quanto desiderato ed è quindi sottoccupata. Infine pesa ancora  circa l’1% la quota di chi è occupato, ma è in cassa integrazione. Quindi, pur in presenza di un evidente miglioramento, permane ancora un’area di sofferenza rilevante nell’ambito dell’offerta di lavoro in parte mascherata dal fatto che molti lavoratori –evidentemente scoraggiati- esitano a farsi parte attiva nella ricerca di un’occupazione.

 

  1.  La forza lavoro occupata invecchia

Nel corso della ripresa, inoltre, la crescita del lavoro si è concentrata nelle classi di età superiore ai 55 anni. Ciò è dovuto in larga misura ad un fattore demografico; infatti, in un mondo del lavoro in cui più giovani hanno difficoltà ad entrare, si assiste per forza di cose ad un invecchiamento dei lavoratori presenti: si spiega così in larga misura il fatto che l’aumento di occupazione che vi è stato tra il 2017 ed il 2013 (+48 mila unità) è ottenuto come saldo tra l’aumento osservato nella fascia degli over 54enni (+81 mila) e la diminuzione registrata sia nella fascia centrale dei 30-54enni (-30 mila) che in quella degli under 29enni (-1,8 mila). La situazione è solo leggermente migliorata nel corso degli ultimi anni, quando  la disoccupazione giovanile si è ridotta, ed anche più rapidamente di quella complessiva. Ma le scarse opportunità di lavoro per i più giovani sono ancora un problema sociale irrisolto: i 15-29enni Neet (not in education, employment, or training), sebbene in flessione negli ultimi tre anni, si attestano ancora su un valore superiore a quello osservato prima della crisi ed ammontano oggi a circa 90 mila unità e rappresentano il 18,1% della popolazione nella medesima fascia di età.

  1. La ripresa si estende a quasi tutti i settori

La crescita degli addetti nel 2017 è stata trasversale a quasi tutti i settori, con tassi di variazione superiori a quelli, già positivi, del 2016. L’agricoltura aumenta il numero degli addetti del 2,6%, l’industria del 2,9%, i servizi del 2,5%. Solo le costruzioni rilevano nel 2017 un aumento degli addetti (+0,9%) inferiore a quello del 2016 (+1,6%). Tra le attività manifatturiere spiccano nel 2017 i settori del Made in Italy, in cui si distingue in modo particolare la crescita della pelletteria e del tessile e abbigliamento. Positivo anche il bilancio del comparto metalmeccanico, della chimica, della farmaceutica e della carta. Nei servizi gli unici comparti contraddistinti da performance negative sono quelli caratterizzati da processi di ristrutturazione, come il credito e le assicurazioni, o dal blocco del turn over (la pubblica amministrazione). Tra le attività del terziario si impone la dinamica dell’indotto turistico, al quale appartiene il 9,2% degli addetti complessivi, con un tasso di crescita dell’8,6% che rafforza il risultato già estremamente favorevole del 2016 (+6,5%).

  1. Si rafforza soprattutto nella Toscana centrale

La dinamica occupazionale dell’ultimo anno presenta inoltre una intonazione positiva anche dal punto di vista territoriale. Ciò attenua ma non corregge la maggiore polarizzazione delle condizioni dei mercati locali del lavoro. Vi sono infatti territori, come la costa e le aree interne, che negli anni di crisi hanno perso addetti più del resto della Toscana e meno ne hanno guadagnati negli anni di ripresa. D’altra parte nella Toscana della costa rientrano le cd. aree di crisi di Livorno, Piombino, Massa Carrara – identificate come tali da una legge nazionale e/o regionale – che scontano un processo di deindustrializzazione legato alle difficoltà di una o più imprese di maggiori dimensioni o di uno specifico settore industriale con elevata specializzazione sul territorio, su cui non sono mancati significativi interventi regionali. Restano le difficoltà delle aree interne a testimonianza della loro fragilità, frutto di processi di spopolamento, di invecchiamento, di scarsa attrazione e penetrazione turistica. Diverso invece il comportamento della Toscana centrale e meridionale, in cui negli anni di ripresa gli addetti, beneficiando del positivo andamento dei servizi, della manifattura ed agricoltura, sono cresciuti più di quanto non fossero diminuiti nella fase recessiva.

 

  1. Anche in Toscana si accentuano i problemi legati alla povertà

Il miglioramento della congiuntura non ha ancora adeguatamente sanato i costi della precedente fase recessiva: la disuguaglianza resta tuttora elevata ed ulteriormente in crescita, come anche la povertà assoluta. In generale si riscontra un maggiore senso di vulnerabilità che è associato alla perdita di sicurezza per la propria posizione nell’ordinamento sociale e che investe vasti strati della popolazione, coinvolgendo anche segmenti un tempo appartenenti alle classi agiate. I poveri sono sempre più poveri ed i ricchi lo sono meno di un tempo, ma l’impoverimento dei primi è maggiore di quello dei secondi.

Ma poveri e ricchi non sono per composizione e caratteristiche gli stessi che osservavamo prima della crisi. E’ intervenuta infatti in questi anni una ricomposizione che ha investito ampie fette della popolazione e che in modo evidente ha penalizzato i giovani e la popolazione adulta, mentre anziani e pensionati sono molto più di ieri addensati nella coda media e/o alta della distribuzione dei redditi. I precedenti sommovimenti e la debolezza della congiuntura rispetto alla intensità dei problemi ancora presenti, determinano nella società un sentimento diffuso di apprensione e non favoriscono l’insorgenza di un clima di fiducia verso il futuro.

  1. Crescita lenta ed incerta nel prossimo triennio

Volgendo l’attenzione al futuro, il prossimo triennio dovrebbe beneficiare di un consolidamento del ritmo di crescita degli scambi internazionali che, se confermato, garantirà quantomeno nel breve periodo uno stimolo positivo per la Toscana e, più in generale, per il paese. È in virtù di queste premesse che il tasso di crescita si stabilizzerà su valori di poco superiori all’1% per il PIL regionale. Nonostante questi risultati positivi non possiamo però fare a meno di sottolineare alcuni aspetti che rischiano di indebolire le aspettative: da un lato, il contesto internazionale sembra particolarmente incerto in questi mesi dal momento che, stando alle posizioni ufficiali dei principali Governi, una guerra commerciale potrebbe essere all’orizzonte; dall’altro lato, anche in assenza di tale evoluzione, il ritmo di crescita dell’economia mondiale tenderà progressivamente ad attenuarsi nei prossimi 24-36 mesi, segno di un processo di recupero che, anche al di là delle minacce e dei rischi potenziali, appare comunque eccessivamente debole.

Tutte le previsioni sono da considerarsi ovviamente incerte; in questo caso tuttavia mentre è possibile identificare alcuni fattori in grado di peggiorarle è difficile immaginare il contrario, ovvero uno scenario in cui si rafforzano le spinte verso una maggiore crescita.

  1. Una crescita potenziale troppo debole in un’economia sempre più polarizzata

In sintesi, se collochiamo la situazione dell’economia toscana nel contesto nazionale, ciò che osserviamo è una sua relativa maggiore solidità che la pone tra le aree che meglio hanno retto in questa lunga fase, prima di recessione e poi di leggera ripresa.

In Toscana, come in Italia, si conferma in effetti la persistenza di uno spiccato dualismo territoriale determinato dalla compresenza di sistemi locali dinamici assieme ad altri più deboli; i primi per lo più legati alla domanda internazionale, i secondi più dipendenti da una domanda interna che, sebbene in ripresa in questi ultimi anni, non è in grado di autosostenersi (visto anche il tono depressivo che, salvo sorprese, dovrà ancora assumere la finanza pubblica). Tale contrapposizione rischia quindi di accentuarsi creando problemi, non solo sul fronte della sostenibilità sociale, ma anche su quello della stessa sostenibilità economica perché, se la crescita è delegata al primo sub-sistema, questo rischia di essere troppo piccolo, appesantito com’è dalla necessità di sostenere il secondo. La bassa crescita potenziale prevista per l’intera economia nazionale -inferiore all’1%- è il frutto anche di tale dicotomia.

Ciò dovrebbe rafforzare la necessità di concentrare le risorse verso un significativo rilancio degli investimenti che rappresentano l’unica via attraverso cui è possibile accrescere la produttività e, con essa, la crescita dell’economia col doppio obiettivo di mantenere/rafforzare la sua capacità di esportare, ma anche di impostare politiche di import-substitution particolarmente urgenti laddove la dipendenza dall’estero incide pesantemente sulla nostra bilancia commerciale: è il caso ad esempio della dipendenza energetica che comporta per l’Italia una bolletta di oltre 30 miliardi di euro l’anno, a cui evidentemente contribuisce in parte anche l’economia toscana.