La recrudescenza dell’epidemia che stiamo sperimentando in questi giorni ci consegna uno scenario economico recessivo, che sarà inevitabilmente più grave e più lungo di quanto non immaginassimo questa estate. Se a settembre pensavamo di avere superato l’emergenza, tanto da poterci finalmente dedicare ai mille ragionamenti sul cosa fare per rilanciare con le risorse europee la nostra capacità produttiva e il lavoro, ecco che nel frattempo torna in prima piano l’urgenza di non interrompere il sostegno al reddito e alla occupazione.

E così, in attesa di attuare gli investimenti capaci di dare un significato a obiettivi per ora sin troppo generici, quali la transizione verde e digitale, e di esplicitare i tempi e i contenuti delle riforme per rilanciare la produttività, vale la pena riflettere su come non disperdere questo tempo che ci separa dalla fase della ripartenza.

Come difendere il lavoro, congelato tramite gli ammortizzatori sociali e il blocco dei licenziamenti, e cogliere un’opportunità di cambiamento? Prima domanda. In una regione come la Toscana? Seconda domanda.

La chiave di volta, per rispondere al primo quesito, crediamo possa essere la formazione dei lavoratori attualmente in cassa integrazione, e di quelli già espulsi dal mercato del lavoro. Persino di quelli ancora occupati. Con un duplice obiettivo. Consentire alle imprese di superare questa fase di calo della domanda e garantire ai lavoratori l’acquisizione di maggiori e nuove competenze in vista di un futuro reinserimento. Non è una ricetta originale. Ma, venendo alla seconda domanda, originali potrebbero essere le modalità di attuazione. Queste ultime dovrebbero viaggiare lungo tre direttrici. La prima è quella che serve a circoscrivere il perimetro dell’intervento. Ed è racchiusa nel termine “strategico”. Declinato però al plurale, avendo a riferimento le filiere che alimentano lo sviluppo regionale. Sarebbero tali, in tempi normali, quelle che creano più valore e lavoro; ma ai tempi del Covid dovremmo circoscrivere ulteriormente l’attenzione a chi, tra quelle protagoniste della ripresa seguita alle crisi del 2008 e del 2011, appare oggi più duramente colpito dalla pandemia. La perdita di lavoro e il largo ricorso alla CIG rischiano infatti non solo di provocare un’emergenza sociale diffusa, ma anche, nel lungo periodo, di disperdere competenze e conoscenze, impoverendo il tessuto economico.  Spetta al governo regionale, in una logica top-down, selezionare – con il supporto di tutte le statistiche del caso – delle filiere a cui indirizzare l’investimento formativo.

La seconda direttrice consiste nel delegare agli attori locali la scelta e l’erogazione dei contenuti dell’attività formativa. L’idea è che ogni luogo – in verità non tutti, ma alcuni sicuramente sì: pensiamo ai distretti – abbia una propria identità, un proprio bernoccolo produttivo, come lo chiamava Becattini, frutto di valori, aspettative, comportamenti capaci di sedimentarsi in una coscienza, intesa come consapevolezza del sé, in grado di esprimere i propri bisogni. In alcune di queste realtà ci sono dei corpi intermedi che negli anni si sono rinnovati e attivati, rappresentando le istanze dei produttori e svolgendo quel ruolo tipico che in Germania, nel cd. sistema duale,  esercitano le Camere di Commercio. In una logica in cui la politica rivendica un potere di scelta, la Regione potrebbe curvare il modello di governance della formazione incentrato sul meccanismo dei bandi, affidando a tali corpi intermedi – con le dovute procedure – le risorse per la formazione. Senza vincoli predeterminati e decisi dall’alto, ma controllando con rigore i risultati conseguiti in termini di partecipazione e occupabilità. L’obiettivo comune è mantenere, incrementare e aggiornare quel bacino di competenze su cui si regge una produzione manifatturiera improntata al principio di qualità, del prodotto e del lavoro. La rete formativa accreditata avrebbe il compito di riqualificare le competenze della forza lavoro attiva pensando all’oggi, ma anche potenzialmente gettare, per il domani, le basi di una interazione con il mondo scolastico, utilizzando tutti gli strumenti che la legislazione mette a disposizione.

Dentro questa cornice può rientrare anche il Fondo nazionale per le nuove competenze, recentemente costituito tramite il cd Decreto Rilancio. Si tratta di uno strumento che consente di utilizzare una parte dell’orario di lavoro in percorsi formativi del personale occupato. Alla dote finanziaria – circa 730 milioni per il biennio 2020-2021- stanziata dal governo, Regione Toscana potrebbe aggiungere le risorse dei fondi strutturali europei, in una operazione a più vasta scala di quella prevista dal Governo.

In Toscana non si parte da zero. Esistono realtà produttive locali importanti che trainano l’economia regionale. Esistono i  corpi intermedi che possono promuovere e coordinare la formazione, perché conoscono le esigenze degli attori locali di cui sono espressione. C’è la possibilità, agendo in fretta, non solo di tamponare i costi ma anche di guardare al futuro.



Autore: Natalia Faraoni e Nicola Sciclone